Settembre
Piemonte
Passare una giornata in Val Grana non è assolutamente sufficiente se si vogliono scoprire tutte le sorprese che nasconde queto schivo territorio del Piemonte. Una piccola e stretta valle, la Val Grana, che si apre solo all’estremo ovest dei suoi confini naturali. I borghi montani che vivono la valle sono immersi in una natura rigogliosa che, a volte, li nasconde alla vista dei visitatori.
Eppure questo territorio custodisce sorprese grandiose: spettacolari panorami di alta valle, testimonianze storiche semi dimenticate ed eccellenze gastronomiche uniche, come il formaggio Castelmagno, uno dei formaggi più amati e rinomati del Piemonte, l’aglio di Caraglio e la rarissima farina Barbarià.
Per scoprire tutto quello che questa valle può offrire leggete l’articolo…buona lettura!
La Valle Grana si trova nella regione occidentale del Piemonte, in provincia di Cuneo, ed è racchiusa tra le Alpi Marittime della Valle Stura e le Alpi Cozie della Valle Maira. La valle è dominata dal Monte Tibert (2647) e dal Santuario di San Magno, eretto a protezione di tutta la vallata.
Castelmagno è il borgo montano più caratteristico dell’alta Valle Grana. Si tratta di un comune diffuso, perché costituito da diversi piccoli borghi montani con una profonda tradizione di produzione casearia.
Delle 16 località che anticamente facevano parte del territorio di Castelmagno solo 8 sono, ad oggi, ancora abitate: Campomolino (dove ha sede il comune), Einaudi, Colletto, Valliera, Campofei, Nerone, Chiotti e Chiappi.
Veduta di Campomolino
Il santuario di San Magno è dedicato a San Magno martire ed è situato nel territorio del comune di Castelmagno ad una altitudine di 1761 m. In estate, offre pernotto e ristoro ai pellegrini che arrivano in visita al complesso.
Il santuario sorge sulle rovine di un luogo di culto pagano dei Romani, come dimostra un frammento di pietra con incisa una dedica al dio Marte. Alla fine del 1400 venne edificata la parte più antica dell’attuale struttura, che verrà poi ampliata all’inizio del ‘500 e poi ancora all’inizio del ‘700.
Oggi è commovente vedere la devozione che la popolazione del luogo ha nei confronti di San Magno; a testimonianza di questo, fermatevi a guardare i numerosissimi ex voto che tappezzano completamente la cappella del santuario. Molti di questi testimoniano veri e propri miracoli e salvataggi avvenuti sia nei confronti di uomini che di bestiame (San Magno è infatti protettore del bestiame, principale fonte di sostentamento delle popolazioni locali).
Facciata esterna del Santuario di San Magno
Loggia laterale del Santuario di San Magno
Per l’escursione di oggi mi spingo in alta Valle Grana e scelgo un percorso che comprende ben due cime, Punta Tempesta e Cima Tibert e una tappa al suggestivo Lago Tempesta. Ad essere onesti, poiché ci troviamo nella zona più settentrionale della Valle Grana, diversi punti di questo percorso, come Punta Tempesta e Lago Tempesta, fanno parte del territorio della Valle Maira.
Colle d’Esischie
DATI TECNICI DELL’ESCURSIONE
L’escursione parte dal Colle d’Esischie, un valico alpino a 2370 m che mette in comunicazione la Valle Grana con la Valle Maira; il colle si raggiunge percorrendo una strettissima e tortuosa strada che sale su dal Santuario di Castelmagno fino al rifugio Fauniera; da qui ancora un paio di tornanti e arrivate al punto di attacco del sentiero.
Si inizia il cammino seguendo le indicazioni per Cima Tibert e dopo circa 1 ora di salita, costante ma dolce, immersi tra gli alpeggi di alta valle, si arriva al Colle Sibolet (2546 m), crocevia di diversi sentieri.
Indicazioni per Punta Tempesta
Colle Sibolet
Da qui seguo le indicazioni per Punta Tempesta e mi trovo ad attraversare ampie zone di pascolo a perdita d’occhio, godendo, per tutto il tempo, della vista su Rocca La Meja che si staglia alla mia sinistra.
I vasti alpeggi dell’alta Val Grana
Cresta di salita a Punta Tempesta
Raggiungo la croce di vetta di Punta Tempesta (2679 m), punto estremamente panoramico su un ampio tratto della Valle Grana e su parte della Valle Maira. Qui, si gode anche una vista preferenziale sull’omonimo Lago Tempesta, incastonato proprio alla base della montagna.
Punta Tempesta
Lago Tempesta
Per scendere fino a Lago Tempesta si torna leggermente indietro sui propri passi, scendendo da Punta Tempesta, e si imbocca un percorso in direzione nord da cui parte una lunga discesa fino al lago. Inizialmente abbastanza dolce, la discesa si fa molto più ripida quando vi troverete Punta Tempesta alla vostra destra. Da qui bisogna usare un po’ di attenzione nella discesa e aguzzare la vista sui segni che, in questo tratto, diventano un po’ meno visibili.
La discesa un po’ impegnativa viene ripagata all’arrivo al Lago Tempesta (2347 m), un bacino di acqua isolato e completamente nascosto a nord dalle pareti spioventi di Punta Tempesta e Punta Piovosa. Arrivati al lago vi consiglio di godervi un po’ della serena quiete di questo punto assai nascosto alla vista e difficilmente raggiungibile. Io mi sono goduta il mio pranzetto proprio qui, seduta al sole e accompagnata dal dolce suono dell’acqua del lago mossa dalla brezza leggera che soffiava quel giorno.
Riva di Lago Tempesta
Colle Intersile
Dal lago mi dirigo verso ovest e risalgo dolcemente in direzione di Colle Intersile, punto da cui si prosegue a sinistra per raggiungere la vetta di Cima Tibert (2647); qui potete gode di una vista spettacolare su tutta la Valle Grana. Purtroppo quando sono andata io il cielo era coperto dalle nubi perciò il panorama era piuttosto limitato, ma, in casi come questi, si può usare la fantasia e immaginare una vista super spettacolare.
Cima Tibert
panoramica dalla vetta di Cima Tibert
Da Cima Tibert si torna indietro seguendo le indicazioni per Colle d’Esischie, passando di nuovo da Colle Sibolet e chiudendo, in questo modo, l’anello; da qui in avanti si ripercorre il sentiero dell’andata per tornate al nostro punto di partenza.
Ho scoperto che la Valle Grana è un territorio ricco di preziosi prodotti gastronomici, alcuni più conosciuti, come il formaggio Castelmagno, altri meno e alcuni quasi dimenticati. Tutti comunque caratterizzano fortemente il territorio e la loro produzione viene gelosamente custodita dagli abitanti della valle.
Durante il mio piccolo tour mi sono imbattuta in tre di queste prelibatezze: il formaggio Castelmagno, l’aglio di Caraglio e la farina Barbarià; ovviamente non potevo resistere e ne ho approfittato per riportare a casa un prezioso bottino.
Se passate da Campomolino fermatevi a La Boutego Ousitano (la Bottega Occitana); in questo negozietto potete trovare moltissimi prodotti tipici della valle. È proprio qui che ho acquistato i biscotti preparati con la farina Barbarià e il formaggio Castelmagno.
Il formaggio Castelmagno, simbolo gastronomico di questa valle, ha origini antichissime: si hanno tracce della sua produzione fin dalla seconda metà del tredicesimo secolo. Quasi dimenticato nel dopoguerra, è stato riscoperto in tempi recenti e la tradizione legata alla sua produzione è ora viva e protetta dalla Cooperativa Produttori “Alta Valle Grana”, che dal 2000 lavora con l’obiettivo di rendere il Castelmagno un prodotto di traino per l’economia e le altre produzioni di questo territorio.
Il formaggio Castelmagno è marchio DOP dal 1996 e il disciplinare prevede che il latte destinato alla produzione del Castelmagno provenga soltanto da tre comuni dell’alta valle: Castelmagno, Pradleves e Monterosso Grana.
Tipico di questo territorio è quello di recuperare e valorizzare grani antichi e tecniche di coltivazione del passato. Uno di questi è la farina Barbarià, una farina “imbastardita” poiché derivata dalla macinatura di coltivazioni di cereali miste (60% frumento e 40% segale).
Ho scoperto che questa antica pratica agricola aveva lo scopo di rendere la farina di segale più digeribile e oggi fa parte della rotazione temporale necessaria alla coltivazione dell’aglio di Caraglio.
Questa farina viene utilizzata per la produzione di ottimi biscotti, grissini e altri prodotti da forno.
Definito anche “oro bianco” di Caraglio, l’aglio di Caraglio ha rischiato di essere perduto, finché un Consorzio locale ha lavorato per recuperare l’ecotipo originario. Oggi, l’aglio di Caraglio, presidio Slow Food, viene coltivato da 7 produttori, quasi esclusivamente nel territorio di Caraglio.
Le sue peculiarità derivano dalla particolare composizione del terreno, dal clima (freddo e nevoso in inverno e fresco in estate), dovuto all’immediata vicinanza delle montagne, e dalle tecniche di produzione, attente al rispetto della terra e alla stagionalità del prodotto. Tra i prodotti della sua rotazione agraria troviamo la patata piatlina, il barbarià, le lenticchie, il grano saraceno, il mais pignolèt, il mais ottofile.
Tutte le aziende che producono questo prodotto seguono la metodologia di coltivazione biologica, anche se non tutte sono ancora certificate bio.
Se avete deciso di fermarvi a visitare Caraglio e volete fermarvi a mangiare qualcosa di buono vi consiglio un posticino scovato assolutamente per caso: lo Zot!
Si tratta di un localino molto alla mano, stile pub, semplice ma ben curato. C’è la possibilità di mangiare ai tavoloni esterni e la possibilità di ascoltare musica dal vivo (ovviamente nelle serate giuste: seguiteli sui social).
Oltre ai tipici buger da pub, tra l’altro ottimi e consigliati, la cucina prepara piatti caldi, molti dei quali preparati con ingredienti del territorio. Vi suggerisco di assaggiare i Valgranotti al Castelmagno, dei gustosissimi ravioloni ripieni di Castelmagno, preparati dallo storico pastificio Isoardi di Caraglio.